Un post pubblicato da Gianni G., un vecchio amico di Torchiarolo, mi ha fatto tornare in mente una “tradizione” che fino a qualche decennio fa caratterizzava il periodo di carnevale in molti paesi del Salento, e del sud italia in generale: “li feshtini” (festini).
In pratica a partire dal 17 gennaio, festa di San Antonio Abate o “te lu fuecu”, e per tutto il periodo di carnevale e comunque fino all’inizio della Quaresima, i garage o i saloni delle case, preferibilmente quelle con accesso diretto dal piano terra, venivano trasformate in locali dove i giovani del paese si ritrovavano la sera del martedì, giovedì, sabato e domenica per ballare. Beninteso, sempre sotto l’occhio vigile di genitori e parenti vari ovviamente. Per ovvi motivi di “S.I.A.E.” si trattava comunque di feste private, tant’è che l’accesso era “concordato” con chi era alla porta. Ma andiamo con ordine.
Qualche giorno prima del 17 gennaio si iniziavano a creare i diversi gruppi di
“componenti” che concordavano con il proprietario di un garage, o comunque di un locale utile allo scopo e solitamente al piano terra, di organizzare i festini. Si instauravano ovviamente lunghe trattative con i genitori delle ragazze, per convincerli ad autorizzarle a partecipare ai festini. Ovviamente tante più ragazze c’erano, tanto più era ambito riuscire ad entrare in quel particolare festino, sia come visitatore che come “maschera”.
Chi faceva parte del gruppo organizzatore era definito “componente” e si impegnava a pagare una piccola quota (sull’ordine delle 1.000 lire a testa, per intenderci) per ogni serata, che sarebbe servita ad acquistare bibite e cibo (solitamente pizze, calzoni e simili). Questi sarebbero poi stati consumati durante la serata dagli stessi “componenti” e, in alcuni casi, offerti agli eventuali ospiti, o agli accompagnatori delle “maschere”.
Se non facevi parte come componente, potevi girare per tutti i festini ma venivano imposti dei limiti, per cui dopo due o tre balli eri “invitato” ad uscire e spostarti in un altra casa (o come diremmo oggi “location”).
Un’altra possibilità era quella di fare dei gruppi e vestirsi in maschera, non
necessariamente “a tema” perché l’importante era non essere riconoscibile, quindi si usavano spesso dei “domino” solitamente neri con dei guanti per non farsi riconoscere neanche dalle mani. Per poter entrare nei festini era però necessario avere un accompagnatore, non mascherato, che potesse interagire con i componenti e garantire la correttezza ed educazione delle maschere che accompagnava.
La conversazione solitamente era più o meno questa:
Componente: “Quante maschere puerti?” (quante maschere accompagni?)
Accompagnatore: “uettu, sei fimmine e ddo masculi” (otto, sei femmine e due maschi)
Componente: “Ce musica uliti pe bballare, lenti, lisci o shake?” (che musica preferite da ballare? Lenti, lisci o disco?
Accompagnatore: “no no lenti sulamente olenu le maschere mei…” (le mie maschere preferiscono i lenti)
Componente: “Spittati n’autru ballu ca essenu quiddhre ca stannu inthra e poi tocca a bbui” (aspettate che facciano ancora un ballo quelle che sono dentro e poi tocca a voi)
Anche in questo caso l’ingresso era “a tempo”, come al solito due o tre balli e poi si doveva andare via. C’era poi una regola “ferrea”: se eri in sala e venivi invitato da una maschera non potevi rifiutarti di ballare. Mai. Per cui capitava di ballare con chiunque: alto, basso, magro, grasso, uomo, donna. Non potevi sapere con chi stavi ballando in quel momento. Potevi fare tutte le domande che volevi e la maschera non era obbligata a risponderti, quanto meno a voce, per non farsi riconoscere. Per cui ti capitava di ballare con degli stupendi occhi che non sapevi a chi appartenessero. Oppure con tuo zio… questa ve la devo raccontare. Avrò avuto più o meno 15 anni, non ricordo esattamente, ed ero “componente” in un festino. Per qualche cosa che avevo combinato ero stato punito da mio zio Carlo con il divieto di andare al festino. Ma ovviamente la voglia di andare e, soprattutto, il desiderio di incontrare quella “maschera” con degli occhi stupendi che mi invitava sempre a ballare, mi spinsero ad “evadere” dalla punizione in casa ed andare comunque al festino. A metà serata entrò un gruppo di maschere ed una di queste mi invitò a ballare. Non era sicuramente “quella” che aspettavo, perché era “un po’ più robusta”. Durante il ballo continuavo a scherzare con lei e a fare domande per cercare di capire chi fosse, ma lei imperturbabile non mi rispondeva se non a gesti o con cenni del capo. Fino a che, poco prima della fine del ballo che stavamo facendo, la manica del domino si è spostata di qualche centimetro ed io ho intravisto il bracciale di un orologio. Ma non era un orologio qualsiasi… era l’orologio dello zio Carlo!!! Unico e inconfondibile!!! Non c’è stato bisogno di dire nulla né da parte sua né da parte mia… dopo pochi minuti ero a casa a letto!
Il periodo dei festini era un’occasione per incontrare ragazzi/ragazze dei paesi vicini, perché era consuetudine andare in giro nei festini dei paesi del circondario, così come se eri componente in un festino potevano arrivare visitatori o maschere di altri paesi.
Era un momento magico, un momento che si aspettava con trepidazione perché permetteva di avvicinare le ragazze (o i ragazzi) che ti piacevano, poter ballare con loro, imbastire magari delle storie d’amore (che in alcuni casi si sono concretizzate in matrimoni e famiglie).
N.B. non disponendo di foto dell’epoca ho dovuto necessariamente effettuare una ricerca su internet. Se qualcuno ritiene di essere titolare di diritti sulle foto pubblicate in questo articolo, sarò lieto di citare l’autore o rimuovere la foto.