27 gennaio, e non solo…

Lascio volutamente online la pagina perché ritengo che la giornata della memoria debba essere ricordata ogni giorno dell’anno. Non solo per quanto è stato commesso dai nazifascisti con l’Olocausto, ma anche per le atrocità che oggi vengono commesse e non vengono riconosciute come tali perché sono “diluite” nel tempo e nei modi, o semplicemente perché l’eccesso di informazioni e di notizie forse lentamente ci fa assuefare ed abituare al peggio, anche se come si suol dire, non c’è mai fine al peggio. Mi torna in mente Noam Chomsky e il principio della rana bollita…

Simboli prigionieri campi concentramento
Hans Maršálek. I contrassegni dei detenuti

Così come ritengo giusto ricordare, relativamente all’Olocausto, che la ferocia e la barbarie della dottrina nazifascista si abbatté sugli ebrei, ma colpì anche omosessuali, zingari (rom, sinti, jenisch), massoni, popolazioni delle regioni orientali europee occupate ritenute “inferiori”, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, malati di mente e portatori di handicap. Per questo ogni prigioniero aveva un simbolo distintivo per “categorizzarlo” e renderlo facilmente riconoscibile.

 

Mi piace citare Ferruccio De Bortoli (Presidente Fondazione Memoriale della Shoah di Milano) : “La memoria è il vaccino indispensabile per poter costruire una società futura e più giusta, per restituire dignità alle persone che non ci sono più, che sono state vittime di questo disegno incredibile, disumano, che può effettivamente ripetersi, ma anche la memoria è una forma di giustizia perché distingue i giusti dai carnefici, perché restituisce i contorni esatti alla Storia che va sempre studiata, anche perché la memoria, persino in questi giorni, persino nel 2017 dopo tanti anni, a 72 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, la memoria è usata a fini politici del presente, viene deformata, viene raccontata in maniera diversa, si creano ancora quei germi del ‘900 che pensavamo fossero sconfitti del tutto: l’indifferenza, il razzismo, la persecuzione del diverso, la semplificazione della realtà che porta a individuare dei capri espiatori e quindi a dare spiegazioni semplici che a volte sono assolutamente fuorvianti. C’è un problema proprio di educazione delle nuove generazioni, però bisogna stare attenti a non scadere nella retorica, nella ritualità, cioè la memoria deve essere una memoria viva di confronto continuo, di apertura e di comprensione, non deve essere qualcosa di imposto…”

 

UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
«Schulze Monaco».

C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald.
Erano di un bambino di tre anni e mezzo.

Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni.
Ma il suo pianto lo possiamo immaginare:
si sa come piangono i bambini.
Anche i suoi piedini li possiamo immaginare:
scarpa numero ventiquattro,
per l’ eternità.

Perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse,
a Buchenwald,
quasi nuove.

Perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Joyce Lussu

 

L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.

Primo Levi

27 gennaio giornata della memoris